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  • Gianluca Danieli

Recensione di "La Stranezza" (2022)

la grande stranezza di Pirandello


regia di Roberto Andò

esclusiva Prime Video




Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale.” – L. Pirandello


Per gli amanti del teatro, del teatro nel teatro, e del teatro nel cinema, una pellicola più perfetta di questa difficilmente si trova.


Sicilia, 1920. Ficarra e Picone interpretano due teatranti dilettanti, che recitano la sera e fanno i becchini di giorno. Un funerale offre loro l’occasione di incontrare il leggendario scrittore Luigi Pirandello (Toni Servillo), senza neanche saperlo.


Si intrecciano così le due travagliate storie tragicomiche dei becchini-teatranti, intenti a mettere su uno spettacolo con gli unici attori disponibili, e lo scrittore veterano tormentato da una crisi creativa, assillato da visioni di personaggi a cui non riesce a dare una storia.


Volendo omaggiare lo stile comico-tragico, a tratti plausibile a tratti surreale di Pirandello, la sceneggiatura mescola superbamente l’umorismo e il dramma all’interno di un’unica storia: quella di Ficarra e Picone (nel film: ‘Bastiano’ e ‘Nofrio’). Pirandello – l’autore – per la maggior parte del film, pare rinunciare ad un ruolo attivo nella storia, scegliendo invece di sedersi, lontano, con educato distacco, retrocedendo al ruolo di spettatore. Ma un motivo per questo c’è, ed è assai importante.


Il duo tragicomico domina la trama, ma non per questo rubano la scena a Pirandello che, attraverso gli intensi eppur distanti sguardi di Servillo, riesce a ipnotizzare il pubblico anche nei film in cui, concretamente, fa ben poco…


…fa poco… fino al momento clou.


La Stranezza” si scopre essere una giocosa (perlopiù fittizia?) origin story dietro il concepimento e messa in scena di una delle opere più famose di Pirandello. Chi lo conosce, avrà già capito di quale opera si tratta.


L’iniziale passività, il distacco, al limite dell’apatia, che inizialmente caratterizzava il personaggio di Servillo, si rivela perfettamente azzeccato date le tematiche che lui stesso aveva proposto per il suo progetto. Soprattutto quando trattava di personaggi da lui creati, eppur dotati di vita propria, al di fuori del suo controllo, e a cui non riusciva a dare un dramma, se non proprio quello di essere senza un dramma.


Il poeta, a loro insaputa, quasi guardando da lontano per tutto il tempo di quel loro tentativo, ha atteso, intanto, a creare con esso e di esso la sua opera.”


cit. dalla prefazione di “6 personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello

(assente nel film).


Un altro aspetto molto bello, è che pur facendo fede ad alcuni degli stilismi più oscuri dell’autore cui rende omaggio, in confronto, le tematiche ne escono molto più chiare e comprensibili che in altri esempi creati dall’autore stesso. (forse addirittura di comprensione un po’ troppo facile per gli standard Pirandelliani?) E per di più, rimane un’esperienza piacevole, divertente, e malinconica, sì, ma nella giusta quantità.


Anche se non siete mai andati a teatro, questo film vale la pena vederlo.


Articolo un po’ strano e arzigogolato questo, vero? Be’. Il film è su Pirandello. Fare altrimenti non era possibile.


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MINI-NOTA PERSONALE A PARTE:

Luigi Pirandello ha per me un significato particolare. Anni fa, una regista teatrale mi aveva messo su un palco, mezzo nudo e pitturato, a recitare “I giganti della montagna”; l’ultima opera dell’autore, morto prima che potesse scriverne il finale. Un’opera particolare, in cui il messaggio che più mi era rimasto impresso era: come il teatro non possa esistere senza un pubblico.


Le altre tematiche, tutt’oggi, un po’ mi eludono.


Per alcuni puristi, forse, l’eccessiva chiarezza e comprensibilità potrebbe non rendere giustizia la complessità per cui Pirandello è divenuto famoso. Ma non per questo il film deve essere denigrato. Una storia può essere profonda e al contempo semplice. Lo stesso Pirandello si è talvolta perso in storie più spensierate. Basti ricordare l’opera teatrale “Liolà”, definita da egli stesso talmente giocosa “che non pare opera mia”.


In un mondo di estremi, tra il commerciale d’intrattenimento e il cinema d’essai, questa pellicola si posa elegantemente fra le due realtà.




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