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Recensione di "THE BLESSED" (2017)

Gianluca Danieli

Scritto e diretto da Sofia Djama, ripresentato alla Mostra del Cinema di Venezia 79 - UNA GIORNATA TIPO NELLA CITTÀ BIANCA?



(Film visionato in anteprima grazie alla collaborazione con "L'Occhio del Cineasta". Sulla stessa piattaforma è pubblicata una versione ritoccata della stessa recensione, modificata per rispettare i parametri di impersonalità richiesti)


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Per la 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, c'era una marea di film fra cui scegliere. Tra prodotti vecchi e nuovi, più per caso che per scelta, mi sono ritrovato con una pellicola risalente al 2017; già presentata a Venezia cinque anni prima, vincendo numerosi premi, e riproposta di nuovo. Non con poco scetticismo, mi sono apprestato a guardarla e… Ne sono rimasto scioccato.


The Blessed” (noto anche come "Les Bienheureux") è la pellicola di debutto di Sofia Djama e tuttora unico lungometraggio nella sua filmografia. Per fortuna o sventura che sia, si rivela ancora tragicamente attuale nelle sue tematiche.


La narrazione (non la si può chiamare trama) immerge lo spettatore in una singola “giornata tipo” nella capitale dell’Algeria, Algeri, nel 2008, poco dopo la fine di una guerra civile. Algeri è detta “la città bianca” per via degli accecanti edifici calcarei dai quali, di giorno, è impossibile sfuggire. Ma quando cala la notte, è tutt’altra storia. C’è una coppia sposata che cerca di festeggiare l’anniversario senza (troppi) conflitti. C’è il loro figlio che gironzola qua e là senza un apparente scopo. C’è l’amico che vuole a tutti i costi tatuarsi un passaggio del Corano sul corpo. Ed una ragazza “ribelle” (secondo gli standard che la circondano) con una cicatrice sul collo, che occasionalmente bada al padre depresso che richiude le tende ogni qualvolta lei cerchi di aprirle, impedendo alla luce della città bianca di entrare in casa.


La pellicola ha una chiara impronta neorealista, con un ensemble di personaggi guidati da una regia semplice, ma non per questo poco curata, anzi. Poche cose accadono nel film, con una sceneggiatura che invece ci avvolge nel “Nulla Quotidiano”. Il ritmo narrativo è rilassante, ma riesce a creare un senso di suspense che cresce col passare del tempo, via via che la luce del giorno scompare, immergendoci nel nero della notte in cui i divari che ancora affliggono la città divengono più evidenti. I dialoghi alternano fra il francese e l’arabo; un bilinguismo che è sia elemento di fascino del luogo nonché simbolo della sua spaccatura culturale.


Mentre solitamente più c’è luce più le cose si vedono chiaramente, qui più il buio cala e più il divario nel paese si vede, si sente, e la tensione fra i personaggi sale. Fra fuggevoli menzioni di scioperi, attacchi terroristici, gente con la gola mozzata, e crescenti tensioni domestiche, si fa più forte il rischio che in tutta questa quotidianità possa accadere qualcosa. Non necessariamente qualcosa di brutto; semplicemente QUALCOSA. Accadrà? Questo è quello devono scoprire gli spettatori, seguendo il film fino quando la luce tornerà, il mattino successivo, ammesso che tutti i nostri eroi ci arrivino.


Il tutto è accompagnato da un sottilissimo velo di benaccolto umorismo che non soltanto alleggerisce un’esperienza altrimenti pesante da digerire, ma permette inoltre di affezionarsi ai protagonisti. Il risultato è una raffinata esecuzione narrativa che tiene per la gola l’attenzione degli spettatori, in cui niente di ciò che accade (o NON accade) si può dare per scontato.


Un pubblico senza un’infarinatura del contesto storico-culturale in cui il film lo trasporta potrebbe inizialmente trovarsi spiazzato, poiché gli vengono forniti pochi dettagli. Ma non ne servono altri per farsi coinvolgere. I pochi elementi offerti allo spettatore poco preparato sono più che sufficienti a scaraventarlo lentamente ma inesorabilmente in una storia sempre più intrigante, ricca di tematiche sorprendentemente attuali, indifferentemente dal luogo in cui si è, tra cui: la divergenza fra chi sceglie di restare a ricostruire ciò che stato distrutto, e chi invece se ne va da ciò che non può più essere aggiustato.


L’unica pecca… è che in tutto questo tempo Sofia Djama non abbia potuto presentarci un altro film oltre a questo. Forse, proprio come per questa sua prima pellicola, è solo questione di pazientare un po’.




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